Testimonianze del Progetto Sicomoro
Lei diceva Dio chiama gli ultimi
Lei diceva Dio chiama gli ultimi.
Ero piccolo, li ricordo che scendevano dalla nave in catene legati in fila indiana , nel porto di Civitavecchia.
Ero piccolo, i loro occhi li ricordo ancora.
Oggi quella la chiamo tristezza.
Dio chiama gli ultimi.
Quando passano i pulman che li portano in tribunale, tra le sirene,
abbasso gli occhi sull’asfalto, mentre immagino i loro che guardano con invidia i passanti.
Non ho il coraggio di rivedere quegli occhi.
Oggi la chiamo disperazione.
Dio chiama gli ultimi.
Quando li vedo per strada vendere calze, ne compro sempre 10 paia, sono rotte lo so.
Dio chiama gli ultimi.
Quando passo davanti a San Vittore li vedo, i parenti in attesa sul marciapiede, ragazze, mogli, bimbi, buste di plastica, li guardo di sfuggita, evito i loro sguardi, lo stomaco si stringe.
Dio chiama gli ultimi.
Dalle finestre di lupo si vedono le mani, le ombre, i fazzoletti.
Oggi la chiamo paura.
Paura di finirci anche io lì dentro.
Rumore di chiavi, di passi, di puzza, di essere stuprato, di sperimentare l’inferno.
Il carcere è un buco nero, la parte oscura, le viscere, il nero, il buio, l’angoscia, la morte.
E’ un muro alto, la ferocia dei più forti, il sadismo dei più malati, il suicidio dei più deboli.
Dio chiama gli ultimi.
È l’ultimo posto dove vorrei entrare da vivo ed uscire da morto.
È l’ultimo posto dove vorrei aspettare i miei figli, mia moglie.
Mi terrorizza, mi spaventa, mi angoscia.
Dio chiama gli ultimi.
Io vengo dopo l’ultimo, mi nascondo, sfuggo.
Dio chiama me. Perché?
Dio chiama me a questo progetto.
Una condanna è come un chiodo che entra nella mano e ti blocca.
Dio chiama me ad alleviare questo dolore, nella speranza che il chiodo venga tirato via e la ferita possa rimarginarsi.
Dio sa che ho paura.
Per questo manda lei, loro, gli altri. Li chiama Sicomoro.
Dio chiama gli ultimi per aiutare i primi.